Il Corpo della Regia Guardia per la Pubblica Sicurezza (1919-1922)
Il terzo Quaderno dell’Ufficio Storico della Polizia di Stato ripercorre la storia della Regia Guardia per la Pubblica Sicurezza. Concepita dallo Stato Liberale come “falange armata” dell’esecutivo per far fronte a una fase di estrema emergenza, la Regia Guardia fu destinataria di ingenti stanziamenti e di un importante organico (passò dalle iniziali 25.000 a 40.000 unità), per essere un Corpo di polizia all’avanguardia e moderno ma soprattutto affidabile e gestibile sotto il profilo politico.
Per il suo carattere fortemente politico, non a caso fu definita la “Polizia di Nitti”, fin da subito, si attirò l’avversione degli acerrimi oppositori dello Statista: la destra nazionalista, gli ambienti militari del Regio Esercito - che non si erano trattenuti dall’ordire trame e complotti golpistici – le camice nere e i vertici del fascismo che, poi, ne decretarono la fine ingloriosa.
Per l’inadeguatezza della classe politica e la mancanza di autorevolezza delle Autorità di Pubblica Sicurezza, la R. Guardia raggiunse solo in parte gli obiettivi per cui era stata istituita, venendo travolta dalle sue intrinseche contraddizioni e dal corso della storia. Finì con l’essere invisa e mal sopportata, persino, da coloro che l’avevano auspicata come rimedio al caos. Da Corpo d’élite divenne un Corpo avulso dalla società, pericoloso per i suoi avversari e troppo compromesso con la politica per non seguirne le sorti ormai segnate. Quello che gli venne affidato fu il tardivo tentativo di restaurazione di fronte all’incalzante fascismo, destinato ad incarnare la nuova “volontà di potenza” della Nazione.
La ricorrenza del Centenario dalla costituzione della Regia Guardia per la P.S. ci offre la possibilità di dedicarle un approfondimento storico utile a comprendere quali dinamiche si possono sviluppare nei tempi di emergenza istituzionale allorquando le strategie di controllo della protesta e dell’ordine pubblico, rivelandosi inadeguate a fronteggiare i cambiamenti cruenti della società, rischiano esse stesse di trasformarsi da fattore di stabilizzazione del sistema in catalizzatori di crisi