Ore 16,58 19 luglio 1992
Ci guardano da 27 anni dalle 16,58 del 19 luglio 1992, precisamente.
Ci guardano attraverso delle fototessere perché i loro occhi si sono spenti per sempre quel giorno, polverizzati da 90 chili di plastico mafioso. Sono “i ragazzi della scorta” di Paolo Borsellino morti a via D’Amelio.
In tutti gli uffici di polizia italiani, a qualunque latitudine, dall’ufficio prestigioso a quello più isolato, in qualche stanza o corridoio, esiste un quadretto appeso con questi cinque volti.
Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Emanuela Loi, Claudio Traina e Eddie Walter Cosina sono diventate le nostre icone civili della legalità. Ci osservano con i loro occhi e ci raccontano la loro esistenza di persone comuni, figli del popolo, si sarebbe detto un tempo.
C’è lo sguardo severo di Agostino il più anziano della squadra, caposcorta per caso, quel giorno, perché “copriva” il turno di un altro collega; a 44 anni aveva perso la moglie tre anni prima per un tumore e tirava su due figli con grande impegno e dedizione.
C’è lo sguardo sorridente, aperto alla vita e pieno di fiducia della 25enne Emanuela; scortava il giudice da soli due giorni; temeva quell’incarico ma con un coraggio rispondeva a tutti “È il mio lavoro, non posso tirarmi indietro”.
Poi ci sono gli occhi di Eddie Walter che nascondono l’impaccio della posa per la foto “in borghese” così in contrasto con il suo carattere ironico e divertente da triestino doc; lui il giudice lo scortava da 15 giorni aggregato da Trieste perché gli “obiettivi sensibili” nella Palermo del dopo Capaci si erano moltiplicati.
E ancora lo sguardo di Vincenzo il più giovane, 22 anni, quasi rassegnato all’incombenza dello scatto da “tesserino”; dietro quegli occhi, un ragazzo innamorato del proprio lavoro come solo a quell’età si può: da pochi mesi al reparto scorte, dopo Capaci, aveva chiesto lui di essere assegnato alla tutela del nemico numero 1 di Cosa Nostra.
Infine Claudio con quegli occhi scuri come l’inchiostro ci chiede perché è morto a 27 anni, perché suo figlio è rimasto orfano a soli 11 mesi.
Questi sguardi dovevano rappresentare la salvezza di Paolo Borsellino; schierati a ventaglio, spalle al magistrato, scrutando un nemico invisibile, si sono opposti all’esplosivo con i loro corpi, l’unica cosa che potevano fare.
Le celebrazioni
Per non dimenticare, stamattina il capo della Polizia Franco Gabrielli ha partecipato, a Palermo, ad una cerimonia all’interno del chiostro della questura. Erano presenti il questore Renato Cortese, le massime autorità sulla lotta alla criminalità organizzata ed alcuni personaggi del mondo dello spettacolo, tra cui Gigi D’Alessio. Il dibattito è stato incentrato sul contrasto al fenomeno mafioso, in particolare alla sensibilizzazione delle nuove generazioni al rispetto delle regole e della legalità.
“Il 23 maggio e il 19 luglio sono date che sono entrate nella coscienza del nostro Paese e appartengono al pantheon della memoria" – ha detto il capo della Polizia durante il suo intervento che ha concluso la cerimonia – “Ma c'è il rischio che queste date rimangano solo occasioni celebrative, una sorta di incontro tra reduci". Ecco perché "È importante combattere la mafia non solo con azioni repressive o di contrasto” ha continuato il Prefetto ringraziando i poliziotti di Palermo per la recente operazione della Squadra mobile nei confronti degli “Scappati” a New York, “Ma è importante insegnare ai giovani il nostro esserci e il nostro combattere".
A seguire, nel pomeriggio, ha avuto luogo la cerimonia commemorativa, con deposizione di corona di alloro in ricordo dei Caduti, presso l’Ufficio scorte della questura e successivamente è stata celebrata una Santa Messa in suffragio delle vittime, officiata da Don Cosimo Scordato presso la chiesa San Francesco Saverio del quartiere Albergheria di Palermo.