Messina: aborti clandestini. Fermo di un ginecologo e di un anestesista

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Era facile per i due medici, sottoposti a fermo del P.M., convincere le donne in stato di gravidanza, che si recavano in ospedale per abortire, che la scelta migliore era effettuare l’intervento presso lo studio privato di uno dei due. “Troppo tardi”, “difficile”, “non ci sono più posti”, questo era quanto veniva detto per ingannare le gestanti e costringerle a pagare cospicue somme di denaro per sottoporsi all’aborto clandestino, dalle stesse ritenuto inevitabile: alle donne infatti non restava che affidarsi ai due specialisti,  con ruoli apicali nel sistema ospedaliero cittadino e pertanto considerati figure di riferimento nel settore. 56enne messinese, dirigente medico presso ostetricia e 52enne originario di Gioia Tauro, primario di anestesia e rianimazione, entrambi in servizio presso l’Azienda Ospedaliera Ospedali Riuniti “Papardo-Piemonte”, organizzavano così gli interventi di interruzione di gravidanza nello studio medico del primo, struttura non abilitata ex lege, priva dei requisiti igienico-sanitari e di adeguati servizi ostetrico-ginecologici, con grave pericolo per la salute delle pazienti. Le donne finite nella rete dei due pagavano una quota compresa tra 750 e 1200 euro per sottoporsi a tale intervento, in condizioni precarie, senza la sicurezza di una adeguata struttura sanitaria e soprattutto senza una ponderata consapevolezza della scelta che stavano per compiere, essendo loro precluso un intervento ospedaliero legale, e con esso tutte le garanzie sanitarie, ginecologiche e psicologiche, che lo stesso prevede per legge. Si è accertato, infatti, contrariamente a quanto veniva fatto credere alle pazienti, che l’ospedale, secondo una specifica e consolidata prassi, avrebbe garantito l’intervento di interruzione di gravidanza nel rispetto delle condizioni di legge, anche in caso di sovrannumero. Le responsabilità dei medici sono emerse grazie al lavoro di indagine sinergico della Polizia di Stato, avviato inizialmente da accertamenti fatti dalla locale Sezione di Polizia Stradale in merito ad una richiesta di risarcimento presentata da una donna che, a seguito di incidente stradale, avrebbe perso il bimbo che portava in grembo. Una vicenda poco chiara che ha progressivamente aperto scenari diversi sui quali gli investigatori della Squadra Mobile specializzati nel settore dei reati contro la persona hanno poi indagato nei mesi successivi, unitamente al primo organo inquirente. Intercettazioni ambientali e telefoniche hanno infatti rivelato un quadro probatorio ben più complesso e fatto emergere le figure dei due medici ed il modus agendi delittuoso con cui essi persuadevano le pazienti a scegliere per gli interventi abortivi la soluzione illecita a pagamento, lucrando quindi sulla delicatissima situazione psicologica e di salute delle vittime. Nei colloqui intercettati venivano fissati appuntamenti e concordate modalità, tempi e costi degli interventi illeciti di interruzione di gravidanza, elementi questi che hanno poi trovato pieno riscontro in foto e filmati, con incontrovertibili elementi di prova. Intense attività di osservazione e pedinamento hanno inoltre fatto emergere che il ginecologo e l’anestesista, approfittando dei rispettivi ruoli all’interno delle strutture ospedaliere, sottraevano medicinali e materiale medico che poi utilizzavano durante gli interventi clandestini, farmaci destinati al solo uso ospedaliero e non al libero commercio, forniti alle strutture pubbliche presso cui i due arrestati lavoravano e quindi di facile accesso per entrambi. Fra le gravi condotte contestate ai due medici figurano i delitti di peculato e concussione oltre a quelli previsti specificamente dalla legge che regola le interruzioni di gravidanza. 

11/05/2016
(modificato il 20/06/2016)
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