Schiavizza la figlia 13enne e la vende per 15mila euro, arrestato a Firenze

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Gli uomini della Squadra mobile di Firenze hanno salvato una minorenne da una probabile vita da schiava, alla quale era stata destinata dal padre, un cittadino serbo di 49 anni, arrestato al termine di un’indagine durata oltre un anno, con l’accusa di riduzione in schiavitù.

L’attività investigativa è iniziata nell’agosto 2016, in seguito alla segnalazione di un centro antiviolenza fiorentino, il quale, a sua volta, era stato allertato da un messaggio proveniente dalla Sicilia che indicava una situazione di pericolo per una giovane ragazza residente a Firenze, della quale conosceva solo il nome.

Gli investigatori della Mobile si sono attivati, riuscendo ad individuare la famiglia della giovane e l’appartamento in cui era rinchiusa, riuscendo appena in tempo ad impedire la "vendita" della ragazza.

Dall’indagine è infatti emerso che l’uomo arrestato, per diversi anni, si è comportato come se la figlia fosse un oggetto su cui esercitare un vero e proprio diritto di proprietà, compresa la facoltà di venderla.

Quando era appena 13enne la piccola è stata promessa in sposa ad un suo connazionale, residente in Francia, grazie ad un accordo concluso con la sua famiglia, che, in cambio, avrebbe versato al genitore la somma di 15mila euro.

Per sugellare l’accordo la famiglia del promesso sposo versò 4mila euro a titolo di acconto, stabilendo che, entro settembre 2017, la ragazza avrebbe dovuto essere portata in Francia.

Entro quella data la giovane avrebbe dovuto mantenere la verginità, imparare a svolgere le faccende domestiche e ritrovare la forma fisica che aveva a 13 anni, perdendo qualche chilo.

Per mantenere le “condizioni” del contratto il padre della giovane vittima ha segregato in casa la ragazza, sottoponendola a stretti controlli: è stata privata di denaro e scheda telefonica, e poteva uscire solo poche volte al mese per andare a fare la spesa, sempre “scortata” da un uomo della famiglia.

La salvezza della sventurata è arrivata da un gioco per smartphone, al quale aveva il permesso di giocare offline.

Grazie a una connessione Wifi libera, il gioco le apriva l’accesso a una chat, nella quale la giovane ha conosciuto un coetaneo a cui ha confessato la sua situazione. È stato proprio il suo amico virtuale ad effettuare la segnalazione dalla quale è partita l’indagine.

Sergio Foffo

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14/09/2017
(modificato il 20/04/2018)