Pescara: fermato racket della prostituzione
Era una vera e propria "tassa di esercizio" quella che una banda di romeni pretendeva dalle prostitute che esercitavano nel loro territorio, nella zona a sud di Pescara e all'interno della Pineta Dannunziana.
L'attività del gruppo criminale è stata interrotta dagli uomini della Squadra mobile del capoluogo abruzzese che, al termine di un'indagine durata oltre un anno, hanno arrestato cinque dei sette appartenenti all'organizzazione. L'operazione è stata portata a termine in collaborazione con gli agenti della Squadra mobile di Chieti. Ancora ricercati, anche all'estero, altri due romeni membri della banda, tra cui anche il leader.
Sono tutti accusati, a vario titolo e in concorso fra loro, di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione di numerose ragazze romene, nonché di estorsione e lesioni ai danni delle stesse. In alcuni casi i reati sono stati aggravati perché commessi con minacce, anche di morte. Due di loro devono rispondere anche dello sfruttamento di una ragazza minorenne.
L'indagine della Mobile è iniziata nell'estate 2012 in seguito a diverse denunce sporte da giovani prostitute romene che asserivano di essere sfruttate da V.V., un loro connazionale con precedenti penali, che estorceva loro un vero e proprio pizzo per poter esercitare in quella che lui definiva la sua zona.
Una delle ragazze ha anche raccontato di essere stata avviata alla prostituzione dallo stesso soggetto quando era ancora minorenne, e di essere costretta a consegnargli ogni sera 400 euro. Per nascondere la sua età lo sfruttatore aveva fornito alla giovane la fotocopia di un documento romeno con false generalità e data di nascita.
Ogni lavoratrice che esercitava nella zona sotto il suo controllo doveva pagare allo sfruttatore 50 euro al giorno.
Per un certo periodo le richieste dell'aguzzino sono state assecondate. Poi c'è stata la ribellione e le ragazze hanno deciso di non dare più soldi al loro connazionale, il quale ha reagito minacciando di ucciderle se non avessero continuato a pagare.
Dall'indagine della mobile, fatta di numerose intercettazioni telefoniche e ambientali nonché di servizi di appostamento e pedinamento, è emerso che il romeno non agiva da solo e che era supportato da altri suoi connazionali e da un italiano.
Gli investigatori facevano così emergere l'attività dell'organizzazione criminale che puntava al controllo e alla spartizione del territorio destinato all'esercizio della prostituzione. La formula era sempre la stessa: le ragazze che non volevano pagare il pizzo erano sottoposte a minacce. In un caso tre prostitute hanno denunciato di essere state picchiate con calci, pugni e cocci di vetro per essere "convinte" a pagare.