35 anni fa il delitto Calabresi

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Il francobollo dedicato a Calabresi nel 2005

Due colpi di pistola che cambiarono il corso degli eventi pubblici ma che, prima di tutto, sconvolsero la vita di molti innocenti. Tre bambini: uno ancora nella pancia della mamma, uno di 1 anno e uno di 2 anni e 3 mesi rimasero senza papà, mentre una giovane donna di 25 anni si ritrovò all'improvviso senza marito e con tre figli da crescere.

Stiamo parlando della famiglia del commissario Luigi Calabresi ucciso il 17 maggio del 1972 sotto casa, a Milano, mentre stava salendo in macchina per andare al lavoro. Sono le 9.15. "C'è un uomo ferito da colpi di pistola in via Cherubini. E' il commissario Calabresi, sta sanguinando." Dalla radio di una squadra volante la voce lontana e metallica di un agente giunge alla centrale operativa di via Fatebenefratelli: "fate presto, non si può perdere un attimo!"

Luigi Calabresi, dirigente della Digos alla questura di Milano - il cui nome è associato alle inchieste sulla strage di piazza Fontana (12 dicembre 1969) e alla morte dell'anarchico Giuseppe Pinelli - non ce la fa. Muore alle 9.47 del 17 maggio. Sono passati 35 anni da quell'omicidio - per il quale sono stati condannati gli ex militanti di Lotta Continua Adriano Sofri, Giorgio Pietrostefani e Ovidio Bompressi (che si sono sempre proclamati innocenti) e Leonardo Marino - ma il ricordo di quell'uomo che amava il suo lavoro, ritenendolo un servizio per la collettività è ancora molto forte.

"Vittima di un odio per ciò che rappresentava e non per ciò che era" ha detto il ministro dell'Interno Giuliano Amato all'inaugurazione di un viale a suo nome 35 anni dopo l'assassinio. "Restaurare la memoria di chi è stato vittima di questo veleno è fondamentale per la nostra Repubblica".

Il figlio: "Mi ha regalato la tranquillità in mezzo al disordine"
Un uomo la cui morte, scrive il figlio Mario, non era inaspettata. Un uomo che a chi gli chiedeva di lasciare la polizia e offrendogli di andar via da Milano rispondeva "Grazie ma non posso. Non potrei mai. Sarebbe una fuga. Significherebbe scappare. Di più: significherebbe ammettere che sono colpevole. Resterò fino in fondo guardando tutti negli occhi".

Mario Calabresi - che all'epoca dell'omicidio aveva poco più di 2 anni - ha scritto un libro "Spingendo la notte più in là" dedicato al padre e alle altre vittime del terrorismo; per non dimenticare il punto di vista, forse meno scabroso ma sicuramente più doloroso, delle vittime e dei suoi familiari.

Anche noi vogliamo ricordare il commissario di Polizia, ma soprattutto l'uomo (e con lui tutte le altre vittime di attentati terroristici) nel giorno del suo anniversario. Per farlo abbiamo deciso di riprendere la sensazione bellissima che Mario ha di suo padre dell'ultima domenica passata insieme a lui alla sfilata degli alpini. "Io ero sulle sue spalle, un po' spaventato dalla calca e dal rumore… la gente stava tutta lungo il bordo della strada… nessuno superava la linea immaginaria… Lui invece scavalcò qualcosa… io mi attaccai ai suoi capelli, lui mi stringeva le gambe, io avevo timore, sentivo che stavamo facendo qualcosa fuori dalle regole, ma lui mi dava fiducia. …. Io ero felice, mi sentivo grande, forte, orgoglioso di stare sulle sue spalle, mi sembrava avessimo fatto una cosa coraggiosissima. Non avevo più paura della folla, mi sembrava tutto solare e caldo. Mi ha regalato la tranquillità in mezzo al disordine, una specie di pace che mi prende quando tutto intorno accelera".
17/05/2007
(modificato il 19/12/2007)
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