Ragusa: tratta di esseri umani e prostituzione, 4 arresti
Grazie alle dichiarazioni di una minorenne cittadina nigeriana, giunta nel Porto di Pozzallo nel 2017 insieme a numerosi migranti di varie nazionalità, la Squadra mobile di Ragusa in collaborazione con le Squadre mobili di Brescia e Monza, ha arrestato quattro cittadini nigeriani responsabili, Insieme ad altri complici non identificati e operanti in Libia e Nigeria, di numerosi reati connessi alla tratta di esseri umani e allo sfruttamento della prostituzione.
La giovane, una volta collocata in una struttura per minori e aver acquisito fiducia nei poliziotti, ha raccontato come era arrivata in Italia: dopo aver accettato la proposta di una conoscente di andare a lavorare in Italia è stata sottoposta a rito Ju-Ju, (un rito che avrebbe comportato per la vittima un ciclo mestruale perenne, senza fine e quindi tale da renderla inavvicinabile e portarla alla morte) impegnandosi così a pagare un debito di 30mila euro alla donna che l’aspettava nel nostro Paese.
Accompagnata dai due fratelli della donna, insieme ad altre tre ragazze, aveva iniziato il viaggio verso l’Italia, viaggio durante il quale due delle tre ragazze avevano perso la vita. Le vittime attraversavano il continente di origine sotto il controllo di criminali che le sottoponevano a privazioni di ogni genere e a diverse forme di violenza, e, infine, le facevano giungere in Italia via mare a bordo di imbarcazioni occupate da moltissimi migranti, esponendole ad un altissimo rischio di naufragio.
Le indagini consentivano di comprendere che la minore rappresentava solo uno dei numerosi investimenti effettuati nel settore della tratta di esseri umani da un gruppo di cittadini nigeriani, tutti legati da vincoli di parentela ed operanti nella provincia di Brescia ma con una indispensabile cellula in Nigeria per reclutare giovani ragazze da avviare alla prostituzione su strada.
Il “family business” non si limitava solo alla tratta di esseri umani, il gruppo, infatti, si occupava stabilmente anche dell’organizzazione, del controllo e della redditività della prostituzione di un nutrito numero di cittadine nigeriane. Nelle abitazioni dove erano alloggiate le “schiave del sesso”, era sempre presente uno degli sfruttatori in modo da esercitare un controllo più assiduo e sottrarre loro, subito i guadagni.
Il gruppo criminale in Italia era diretto da una donna nigeriana, perfettamente integrata nel nostro Paese e coniugata con un cittadino italiano, che si avvaleva della stabile collaborazione della sorella e dei fratelli presenti in Italia. In Nigeria invece la donna si avvaleva dell’opera di altri familiari.
Durante l’attività investigativa i poliziotti hanno documentato inoltre come una delle vittime di tratta, non appena ultimato il pagamento del debito di ingaggio, si era trasformata a sua volta in “madame” ed aveva reclutato e fatto giungere in Italia una “propria” vittima.