Immigrazione: la prevenzione sanitaria nei servizi di accoglienza
L'aumento del fenomeno migratorio verso l'Italia ha spesso generato la preoccupazione per l'esplosione di epidemie di malattie infettive importate con gli sbarchi di massa.
In realtà il fenomeno è meno grave di quello che molti media hanno contribuito ad enfatizzare, segnalando casi di malattie anche tra gli operatori della Polizia di Stato impegnati nelle operazioni legate all'emergenza immigratoria.
Ad approfondire l'argomento è Fabrizio Ciprani, dirigente superiore medico della Polizia di Stato, direttore del Servizio affari generali della Direzione centrale di sanità, in un articolo pubblicato sull'ultimo numero di PoliziaModerna.
La rivista ufficiale della Polizia di Stato dedica un primo piano al lavoro dei poliziotti durante l'emergenza sbarchi e parla anche dei rischi per la salute degli operatori impegnati nelle fasi di accoglimento.
Secondo il medico della Polizia i migranti che arrivano sulle nostre coste sono sostanzialmente in buona salute, anche se provati dal viaggio. Presentano patologie connesse alle condizioni proibitive cui sono stati sottoposti quali: colpi di sole e di calore, assideramento, lesioni da decubito dovute alla posizione forzata sui barconi, stati di disidratazione.
Grande apprensione ha destato il rischio di infezione da tubercolosi, malattia che tra gli immigrati ha un'incidenza 10 volte superiore rispetto a quella presente nel nostro Paese.
Ciprani sottolinea che a fronte delle crescenti preoccupazioni del personale impegnato nell'emergenza immigratoria, l'Amministrazione ha provveduto a implementare e divulgare delle linee guida, definendo delle misure igienico-comportamentali alle quali attenersi nello svolgimento dei servizi. È stato inoltre preparato un vademecum fotografico informativo sull'utilizzo dei dispositivi individuali di protezione.
In tutte le condizioni di rischio potenziale di infezione i medici della polizia, in collaborazione con strutture sanitarie di riferimento, ospedaliere ed universitarie, hanno attivato un programma di sorveglianza sanitaria specifico per questa malattia.
Tutto il personale, in caso di contatto a rischio di tipo biologico viene visitato e qualora venga confermato il potenziale rischio, viene inserito in un protocollo di sorveglianza sanitaria che inizia con l'esecuzione di accertamenti clinici a "tempo zero", poi ripetuti, per monitorare l'eventuale sviluppo di quelle malattie infettive per le quali è stato ipotizzato il rischio.
Al giugno 2015, sono stati valutati circa 7mila dipendenti, che sono stati sottoposti a visita medica e successiva esecuzione di specifici test diagnostici.
Inizialmente il riscontro di casi di positività al test di Mantoux è stato spesso male interpretato dai media, che lo hanno scambiato per malattia tubercolare conclamata. Una positività al test di Mantoux è invece indice di un contatto pregresso, non cronologicamente specifico, del soggetto con il batterio della tubercolosi, ma non prova lo stato di malattia.
In conclusione, secondo il medico della Polizia di Stato, si può affermare che le risultanze del programma sanitario messo in atto sono confortanti. I risultati dello studio ridimensionano quindi i timori perché nessuno degli operatori si è ammalato, anche se è fondamentale continuare a tenere alta l'attenzione su tutti gli aspetti sanitari.
(modificato il 15/07/2015)