Seminario internazionale sulla polizia di prossimità e la sua fase attuativa:il poliziotto e carabiniere di quartiere

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Roma, 15 novembre 2003

Un'Europa veramente unita ha l'obbligo di affermare, concretamente e con tutti i mezzi leciti, i principi di libera circolazione delle persone, di convivenza pacifica e di sostegno allo sviluppo armonico di tutte le regioni e dei popoli che la costituiscono.

Ritengo evidente che alle popolazioni dell'Unione Europea debba quindi essere garantito il bisogno primario di "libertà dalla paura", che impedisce il pieno sviluppo delle potenzialità sociali ed economiche dei cittadini che vivono e lavorano onestamente, anche nella nuova dimensione ed identità di "cittadini europei".

L'imperativo che si impone è quello di individuare nell'attuale sistema di regole ogni strumento per rafforzare il sistema di difesa sociale, senza lasciarsi andare a battute di arresto sul già delineato percorso dell'integrazione europea e dell'allargamento dei suoi confini.

Se da un lato appare scontato che la piena realizzazione di una politica di sicurezza potrà essere concretamente conseguita non soltanto con la messa a fattor comune dei temi della sicurezza, ma anche ? e soprattutto - attraverso reali passi avanti nel processo di integrazione normativa degli ordinamenti degli Stati membri, dall'altro, però, non si può disconoscere la necessità che un'efficace cooperazione di polizia la si può comunque ottenere attraverso il rafforzamento del quadro organizzativo di cui attualmente disponiamo e dall'individuazione di chiare e condivise strategie di intervento operativo.

In tal senso, fondamentale è il ruolo svolto da EUROPOL, il cui compito prioritario in questa fase di assestamento e di crescita non può che essere quello di strumento di raccordo informativo e di struttura di coordinamento dell'attività delle forze di polizia degli Stati membri.
Oggi proprio grazie all'analisi strategica svolta da EUROPOL sappiamo che in Europa i delitti riconducibili alla cosiddetta criminalità diffusa sono in aumento e che sempre più spesso vengono commessi attraverso l'uso sproporzionato e non necessario della violenza.

Sono dati che, riferendosi a quelle tipologie criminose che più colpiscono la sensibilità della gente, possono rappresentare un parametro dello stato della sicurezza interna dell'Unione significativo ancorché non esaustivo.

Sappiamo ormai tutti che la lettura dei dati sulla criminalità reale ? e cioè quelli relativi al numero dei delitti denunciati - non è più sufficiente a misurare il livello di sicurezza. E' chiaro infatti che oggi esiste sicurezza solo quando la gente si sente sicura e tutelata, quando la collettività si sente oggetto di una concreta e visibile attenzione verso le esigenze di vivibilità che le nostre strade, i nostri quartieri ogni giorno ci chiedono a gran voce.

È il disagio sociale ? che non è determinato solo dall'aggressione criminale ? a far sentire i cittadini meno sicuri. L'aspirazione della gente a vivere libera dalla paura ha progressivamente ampliato la nozione di sicurezza, nella quale rientrano ormai tutti gli eventi ed i fenomeni comunque in grado di incidere sulla tranquillità sociale.

In Italia è avvertito in modo significativo un senso di insicurezza determinato non solo dal livello di criminalità, ma anche, per una percentuale consistente, da parametri di valutazione diversi: individuali, collettivi, oggettivi, soggettivi, ambientali, psicologici, sociali, relazionali, culturali, tutti in vario modo correlati alla qualità della vita e alla vivibilità delle realtà urbane.

Una tale percezione di insicurezza non potrebbe altrimenti trovare giustificazione nel nostro Paese, dove, i dati relativi all'andamento della delittuosità ? comprendendo in essi anche i fenomeni di criminalità violenta ed organizzata, di immigrazione clandestina e di terrorismo ?
mostrano, generalmente, un sostanziale trend in diminuzione e, spesso, in controtendenza rispetto a quelli europei.

Si può così capire il perché, nonostante questi confortanti segnali positivi, la domanda di tranquillità proveniente dai cittadini italiani rimanga comunque particolarmente elevata e tale da imporre al Governo una particolare attenzione ai profili di una serena vivibilità quotidiana.

Dobbiamo a questo punto riconoscere, allora, il limite fisiologico di un'azione finalizzata soltanto a perseguire i responsabili dei fatti penalmente rilevanti, e considerare invece imprescindibile la necessità di intensificare ogni attività di prevenzione, che consenta di impedire o di attenuare fatti, circostanze, comportamenti magari non rilevanti sotto il profilo penale, ma certamente idonei a suscitare disagio o allarme.

Ma se il presupposto è vero, è altrettanto vero che la prevenzione non può essere compito esclusivo delle Forze di polizia. Un'attività di prevenzione perché sia avvertita come fattore di stabilità sociale deve vedere coinvolti tutti i soggetti, pubblici e privati, che in qualunque modo possano contribuire a rendere più sicuri e vivibili i diversi "
territori" , reali e virtuali, in cui vivono e lavorano i cittadini.

Parlare di prevenzione oggi significa essere in grado di bonificare qualsiasi territorio da rischi reali o presunti e realizzare su quei territori condizioni ambientali che ingenerano in chi li frequenta un diffuso senso di fiducia.

Non più "militarizzazione" del territorio quindi ma "integrazione" sul territorio secondo nuovi modelli operativi riconducibili al concetto di polizia di prossimità. Obbiettivo: avvicinare le istituzioni al cittadino per comprendere meglio le sue esigenze e per individuare, possibilmente con la partecipazione attiva dei soggetti interessati, le soluzioni da loro stessi condivise e quindi più utili ed opportune.

All'inizio dell'800, allorché nasceva la polizia, famiglia e Chiesa rappresentavano i principali regolatori della pace pubblica. La gente trovava conforto e sicurezza nell'aiutarsi reciprocamente. Ricorreva alla polizia soltanto quando la situazione era talmente grave da superare le proprie forze. Le polizie della società industriale, poi, sono servite principalmente al dominio del potere politico sulla società.

Oggi questa concezione della polizia non trova più spazio. L'autorità seppure riconosciuta ed auspicata trova la sua espressione e la sua caratterizzazione in una sorta di "potere costituito" che poggi però sulla condivisione e sulla partecipazione dei cittadini stessi. In altri termini, da "braccio armato dello Stato", la polizia è diventata un'istituzione servente che trova forza e legittimazione soltanto se è in grado di assicurare i diritti dei cittadini nei confronti dei "non-cittadini", cioè della società civile nei confronti di chi si pone al di fuori delle sue regole.

Tutto questo è avvenuto non solo attraverso una riconfigurazione degli assetti organizzativi interni ma anche attraverso innovazioni nel rapporto con i diversi attori sociali che concorrono nel governo della sicurezza.
Enti territoriali, rappresentanze di categorie socio-produttive, mezzi di informazione, istituti di vigilanza, operatori sociali, società di assicurazione, esperti in innovazioni tecnologiche, hanno così affiancato la polizia, condividendo l'onere di una nuova disciplina sociale della sicurezza.

Mutato il quadro di riferimento, è diventata una priorità strategica quella di ispirare l'azione della polizia ai canoni della prossimità che prevedono risposte alla domanda di sicurezza più ampia ed articolata rispetto ad un mero dato operativo e presuppongono un diverso approccio culturale ed una nuova filosofia comportamentale dei professionisti della sicurezza.

Il particolare contesto di lavoro in cui ci troviamo oggi mi induce a sottolineare, sia pur sinteticamente, le finalità ed i contenuti della polizia di prossimità secondo il modello che abbiamo definito in Italia.

Il significato letterale del termine ci porta naturalmente a considerare una dimensione geografica, che potrebbe esprimersi in un servizio di polizia ben integrato nel tessuto sociale, attraverso una presenza "vicina" sia in termini territoriali, se ci riferiamo alla conoscenza del territorio, oppure in termini sociali, se prendiamo come parametro le persone che vivono e operano in quegli spazi predefiniti.

Questo aspetto del problema ha naturalmente portato le nostre Forze di polizia a muoversi ed a intervenire rendendo sempre più palese la loro presenza diffusa e capillare su quei territori.

Ma rapidamente ci si é resi conto che era una visione parziale e non pienamente rispondente ai bisogni dei cittadini; é stata così una fisiologica necessità quella di sperimentare nuovi criteri di intervento sul territorio, ponendo la massima attenzione anche ad un oculato impiego delle risorse disponibili, secondo criteri che prevedessero una chiara suddivisione di responsabilità e l'eliminazione del rischio di duplicazioni o disfunzioni operative.

Si é passati poi a considerare la prossimità anche come una sorta di "e-policing", e cioè di un vero e proprio "sportello di polizia virtuale".
Oggi possiamo già avvalerci della rete telematica per godere dei servizi della polizia e fra poco questi servizi cresceranno in qualità e quantità fino al punto di consentire ai cittadini di colloquiare in tempo reale con la Polizia di Stato e con l' Arma dei Carabinieri attraverso i loro siti Web, anche per sporgere una semplice denuncia.

Ma ancora non possiamo considerarci soddisfatti. Lo saremo soltanto quando il cittadino diventerà il vero protagonista della polizia di prossimità:
perché saremo in grado di offrirgli un servizio personalizzato direi quasi un servizio su misura.

A tal fine non basta conoscere soltanto le esigenze del cittadino limitatamente alla sua sicurezza personale o patrimoniale; occorre farsi carico anche delle sue debolezze, delle sue paure di fronte ai diversi fenomeni criminali, e del suo grado di soddisfazione e di stima nei confronti della polizia.

Un valore aggiunto é rappresentato poi dal partenariato, inteso innanzitutto come capacità di sviluppare le migliori sinergie tra tutti gli addetti ai lavori che si trovano ad interagire sul campo, sia che appartengano alle forze di polizia dello Stato, sia a quelle municipali.

Partenariato significa però anche innescare e favorire processi collaborativi con altri soggetti, pubblici e privati, che possono essere coinvolti nella produzione del fattore sicurezza.

La polizia di prossimità rappresenta, dunque, un modo di pensare e di operare orientato verso la gente, fondato su un lavoro comune, finalizzato ad ottimizzare - in termini di efficacia, di efficienza e di immagine - in dimensione territoriale, il grado di sicurezza e di ordine pubblico attraverso una migliore conoscenza reciproca, una concertazione e una corresponsabilizzazione fra poliziotto e cittadino.

Tra le molteplici e specifiche iniziative che caratterizzano e danno attuazione alla "filosofia di prossimità", il poliziotto e carabiniere di quartiere" è quella che meglio esprime questo nuovo modo di intendere l'attività di "servizio" di polizia.

Il poliziotto ed il carabiniere di quartiere devono essere pienamente inseriti nelle comunità locali ove operano, di cui devono vivere le dinamiche e conoscere ogni peculiarità, soprattutto quelle che caratterizzano la sicurezza e la percezione che della stessa hanno i cittadini.

Il loro compito primario è, quindi, quello di ascoltare, suggerire, rassicurare, mettersi a disposizione di tutti, vestendo i panni di un operatore di polizia familiare ed accessibile. L'obiettivo è quello di ottenere un ritorno "positivo" in termini di collaborazione da parte della stessa collettività, di cui sono punto di riferimento.

In tutti i capoluoghi di provincia italiani stiamo oggi sperimentando questo nuovo servizio.

Di grande interesse é la risposta della gente. Dall'inizio dell'anno, abbiamo registrato più di quattro milioni di contatti realizzati con commercianti, imprenditori, istituzioni locali, gente comune; e questo soltanto da parte di un numero di agenti e carabinieri assolutamente inferiore a quello previsto quando l'intero sistema entrerà a regime.

Credo sia decisamente presto per valutare se ed in quale misura i molteplici processi collaborativi così avviati tra istituzioni e collettività abbiano potuto incidere sulla riduzione della delittuositàe sull'aumentodella sensazione di sicurezza.

Al momento abbiamo comunque dati confortanti. Solo a Roma nel primo periodo di sperimentazione si è registrata una netta diminuzione delle rapine pari al 26% ed un calo dei furti di oltre il 6%.

Ma è soprattutto sul piano della percezione della sicurezza che si deve verificare l'efficacia del servizio.

La gente comune e le varie categorie socio-produttive hanno decisamente apprezzato la presenza del poliziotto e del carabiniere nel loro
quartiere: é una conferma della validità del modello adottato ma anche il più pressante stimolo a nuove e più complesse verifiche.

Dobbiamo ora definire meglio l'identità del poliziotto e del carabiniere di quartiere; specificarne meglio i compiti, gli ambiti di competenza ed i profili collaborativi; individuare infine la tipologia delle aree territoriali ancora da coprire.

Rileviamo nel frattempo che sono fortemente aumentate le richieste di assistenza rivolte dai cittadini al loro poliziotto o carabiniere di quartiere, il che evidenzia che la richiesta di sicurezza non si limita più ad una mera repressione di illegalità, ma si estende sempre di più alla collaborazione per risolvere problemi più complessi.

In questa prospettiva il poliziotto e il carabiniere di quartiere si sforzeranno di identificare e mettere i problemi sul tavolo e di lasciare che tutti i soggetti coinvolti, sia pubblici che privati, si assumano le rispettive responsabilità e trovino insieme alle Forze di polizia le soluzioni più opportune e le risorse necessarie, e lo faranno!

Mantenendo, però sempre e comunque il loro ruolo di rappresentanti dello Stato, incaricati di far rispettare la legge in modo fermo, corretto e al tempo stesso educato, cortese e rispettoso del cittadino.

La loro forza sta nella posizione di osservatori privilegiati della realtà sociale che permette loro di costatare episodi e fatti in prima persona e di dare impulso all'intervento dei partner più idonei alla soluzione del singolo problema.

L'esperienza che nel nostro Paese stiamo traendo dal "poliziotto e carabiniere di quartiere" e dalle altre iniziative di prossimità evidenzia l'ineludibile necessità che le Forze di polizia provvedano ad ampliare progressivamente, in un'ottica proattiva e preventiva, la gamma delle loro prestazioni, individuando e proponendo una serie di altre possibili soluzioni che releghino il momento repressivo a vera e propria "estrema ratio".

Spetta, infatti, in primo luogo a noi, in ragione delle responsabilità che discendono dalla delicata funzione che siamo chiamati ad esercitare, cercare di cogliere con tempestività le esigenze di una realtà che muta rapidamente, al fine di individuare le soluzioni più efficaci nel quadro di strategie comuni e condivise.

Sono sicuro che già oggi, nel corso di questo Seminario, arriveranno da tutti i Paesi presenti risposte importanti, che riassumeremo in un significativo "documento di conclusione". Tali risposte saranno certamente all'altezza del complesso compito che ci attende, in un quadro di riferimento comunitario in cui la forza delle decisioni intraprese deve sempre derivare dall'averle adottate a seguito di un sereno momento di confronto delle diverse, specifiche esperienze.

A tutti formulo un sincero augurio di buon lavoro.

17/11/2007
(modificato il 13/12/2013)
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