Dopo 40 anni la Scientifica scopre nuovi elementi sul massacro di via Caravaggio
Dopo quasi 40 anni, grazie alle indagini della Polizia scientifica, il mostro di via Caravaggio, a Napoli, potrebbe avere un nome. Il fatto fu molto eclatante. Nella notte tra il 30 e il 31 ottobre 1975, padre, madre e figlia furono massacrati in un appartamento del quartiere Fuorigrotta. Due dei cadaveri furono trovati nella vasca da bagno insieme al cagnolino di famiglia, anch'esso ucciso dall'assassino.
Dell'omicidio fu accusato un nipote, Domenico Zarrelli, che in primo grado fu condannato all'ergastolo. In seguito fu assolto in appello a Napoli e, dopo l'annullamento della sentenza da parte della Cassazione, nuovamente assolto con formula piena dalla Corte di Assise di Appello di Potenza. La sentenza fu confermata nel 1985 dalla Cassazione, e nel 2006 l'uomo ottenne anche un risarcimento per i 10 anni passati in carcere.
In seguito ad un esposto anonimo, nel 2011 la procura ha delegato alla Polizia scientifica di Napoli e del Servizio centrale di Roma, ulteriori indagini sui reperti, come nel più classico dei "cold case".
Proprio a questo genere di casi è dedicata l'Unità delitti insoluti (Udi), istituita nel 2009 e coordinata, al livello centrale, dal Servizio polizia scientifica e dal Servizio centrale operativo (Sco). In un video pubblicato sul canale Youtube della Polizia di Stato, Anna Maria Di Giulio, direttore dell'Unità analisi crimine violento (Uacv), ci spiega cos'è e come funziona l'Udi.
In un'intervista rilasciata in questi giorni, è lo stesso funzionario, che ha lavorato personalmente al caso, a parlare dell'indagine sui reperti di via Caravaggio: "Abbiamo rintracciato i reperti a fine 2012: erano conservati, in buono stato, in più di cento scatoloni presso la procura di Napoli. Dei 37 che abbiamo ritenuto utili per cercare il Dna, sono state 108 le tracce biologiche analizzate".
"In particolare - aggiunge Anna Maria Di Giulio - il Dna è stato rilevato sui mozziconi di sigaretta e su uno strofinaccio con cui l'assassino si sarebbe asciugato le mani dopo essersele lavate dal sangue delle vittime".
Dalle indagini risulta, infatti, che dopo la strage l'assassino restò in casa, forse nell'attesa di un complice, e fumò molto. Sul posto furono trovati diversi mozziconi di sigarette marca Gitane, che l'imputato dell'epoca ha sempre negato di aver fumato.
Oggi le moderne tecniche di investigazione, utilizzate dalla Polizia scientifica, consentirebbero di riaprire il caso e fare nuova luce sul massacro di via Caravaggio.
(modificato il 05/09/2014)