Furti, spaccio e prostituzione, arrestati 16 albanesi

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Un ladro in azione"Come sono i tuoi rapporti con i colleghi di lavoro?", "Buoni, papà, va tutto bene". Non si tratta di una normale conversazione familiare, bensì di una delle comunicazioni in codice registrate dalla Squadra mobile di Terni nell'ambito dell'operazione "Milot", conclusa questa mattina con l'arresto di undici persone.

Sono tutte di origine albanese e sono accusate di associazione per delinquere, furto in abitazione, ricettazione, spaccio di sostanze stupefacenti e sfruttamento della prostituzione. Se agli arresti di questa mattina aggiungiamo i cinque finiti in manette il 30 dicembre scorso, gli appartenenti alla banda arrestati diventano in totale sedici. In quell'episodio i criminali furono bloccati sul raccordo stradale Orte - Terni con un carico di cinque chili e mezzo di marijuana.

L'organizzazione criminale era specializzata nella commissione di furti in abitazione, anche se l'indagine ha evidenziato come la banda operasse anche in altri settori. Almeno 50 i colpi messi a segno dal gruppo tra dicembre 2014 e gennaio 2015, ma gli investigatori stanno indagando su altri 100 furti analoghi che potrebbero essere a loro addebitati.

Operavano nei piccoli centri del ternano e del viterbese come Narni, Sangemini, Acquasparta, Montecastrilli, Soriano nel Cimino e Vasanello, prediligendo case isolate e condomini in periferia.

L'attività investigativa ha preso il via dopo che durante un controllo svolto all'aeroporto romano di Fiumicino, un cittadino albanese, residente a Terni e diretto a Dublino, fu fermato con una carta d'identità italiana falsificata. Il documento apparteneva ad una ragazza ed era stato rubato un mese prima a Terni durante un furto in abitazione.

Gli uomini della Mobile iniziarono così ad indagare sull'uomo e sulle persone a lui legate. Grazie a numerose intercettazioni, appostamenti e pedinamenti, gli investigatori hanno fatto luce sull'attività del gruppo criminale che operava nel ternano. Quasi tutti imparentati tra loro, la maggior parte dei criminali sono originari della città albanese di Milot (da cui deriva il nome dell'operazione).

Metà degli appartenenti alla banda si occupava dei furti, gli altri si dedicavano allo spaccio. Tra le attività collaterali c'era anche lo sfruttamento della prostituzione, mentre l'unica donna del gruppo si occupava di ricettare la refurtiva. Ma non tutti i beni rubati erano rivenduti, infatti una parte del bottino veniva spedita in patria, insieme a molti dei soldi "guadagnati" con quello che era per tutti un vero e proprio lavoro, svolto con assiduità e dedizione.

L'indagine è stata particolarmente difficile perché i criminali limitavano al massimo l'uso di cellulari e auto, e quando comunicavano tra loro lo facevano in stretto dialetto albanese, di difficile comprensione anche per le interpreti più esperte.

Sempre per non destare sospetti, i membri della banda conducevano un modesto tenore di vita, anche se in realtà quasi tutti stavano ristrutturando o costruendo lussuose ville in Albania. Addirittura, in una telefonata, il leader del gruppo parlava con il padre della cappella di famiglia, per la quale aveva speso molti soldi.

Il blitz della polizia è scattato in anticipo rispetto a quanto in origine previsto, per evitare che fosse portata a termina una rapina in villa che prevedeva anche un sequestro di persona.

Alle fasi conclusive dell'operazione hanno partecipato 50 agenti della Squadra mobile e di altri uffici della questura di Terni, due unità cinofile di Ancona e un elicottero del Reparto volo di Roma.

06/02/2015